Dopo i suoi esordi nel 1948 insieme al gruppo Forma (con Accardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Maugeri, Perilli, Sanfilippo e Turcato), periodo durante il quale pratica l'astrattismo, dagli anni cinquanta Attardi si orienta nuovamente verso la figurazione. Lo stesso artista spiega le ragioni della propria scelta: "Fu per me una buona esperienza durata due o tre anni; me ne stancai presto [...] Ho una visione delle cose del mondo possessiva e carnale, e non riuscivo a inverarla in atti e immagini di pura astrazione: sentivo la mancanza della sottile magia della finzione, la finzione propria della figurazione: capace cioè di rivelare le verità più sorprendenti" (Attardi, in Masi, p. 38). Come molti artisti in quegli anni, Attardi vive in pieno la contrapposizione tra i fautori dell'astrazione e i sostenitori del realismo così come il clima di aperta ostilità che si genera tra le due correnti: abbandonando lentamente le più estremiste posizioni astratte in cui non si riconosce pienamente, l'artista si avvicina a forme di ascendenza espressionista, affiancando la sua nuova visione a decise prese di posizione politiche. E' in questo ambito che matura la sua poetica indirizzata verso una sintesi tra posizioni antitetiche, alla ricerca "in un'unità di cose avverse di quel tutto vitale che è nell'esistente" (Attardi, in Masi, p. 42).
Paesaggio romano rivela appieno questa impostazione: affondando le proprie radici in modelli espressionisti, il dipinto appartiene a una serie di opere dedicate alla rilettura del tema della veduta di Roma, tra le quali figurano anche Roma notturna (1962). L'opera si inserisce nel frequentemente esplorato motivo della finestra aperta sul paesaggio: il punto di vista prescelto fornisce un'inquadratura strutturale al dipinto e si fa specchio degli oggetti e delle presenze situate all'interno della stanza. L'impostazione costruttiva del dipinto è tuttavia avvolta in un'atmosfera vaporosa e cromie suggestive e la veduta che si dipana davanti agli occhi, pur nascendo da un'impostazione realistica, si trasfigura in una visione emotiva ed emozionale. La maggiore introspezione che emana dal dipinto è comunque un tratto tipico di questi anni: Attardi immette nelle opere di questo periodo turbamenti e inquietudini, conseguenze della perduta fiducia nelle ideologie che avevano animato gli anni del dopoguerra. E questo ripiegamento interiore viene esacerbato in una "pittura sempre più tormentata, ferita, lacerata, che appare vicina talora a quella di Francis Bacon per la sua carica espressionista, per la lotta con l'oggetto che si macera e si sfigura" (Grasso, p. 25). Il disfacimento delle cose, già presente nel primo piano, è soprattutto evidente nel paesaggio sullo sfondo, il fuori dalla finestra: il panorama è "divenuto presenza larvale, puro stato d'animo: fantasmi di case e di monumenti affogano nei toni bassi del rosso, bruciano vampate di giallo a compiere l'opera distruttrice" (Grasso, p. 25).
a cura della Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma
Bibliografia
A. Trombadori, V. Rivosecchi, G. Selvaggi, Camera dei deputati. Catalogo delle opere d'arte. Pittura, scultura, arazzi, Milano 1993, n. 159, p. 77; tav. p. 164
A.Masi, Intervista con Ugo Attardi, in U. Attardi, La forma e lo specchio. Opere 1948/2000, catalogo della mostra, Buenos Aires 15 giugno - 31 luglio 2000, pp. 31-43
C. Pirovano, a cura di, Camera dei deputati. Opere d'arte moderna e contemporanea. Pittura e scultura, Milano 2006, n. 114, p. 102; p. 169
F. Grasso, Attardi, in M. Bertin, Avventura e amori cercando. Ugo Attardi, opere 1946-1994, Palermo 1994, pp. 23-31