L'inizio degli anni Quaranta rappresenta per Rosai il momento dei primi veri successi di vendita e di critica: alla sua personale presso la Galleria Genova, allestita nel 1940 da Stefano Cairola, tutte le sue opere risultano vendute; l'anno successivo sono edite due monografie a lui dedicate, l'una curata da Alfonso Gatto presso la casa editrice fiorentina Vallecchi, e l'altra per i tipi della Hoepli, diretta, proprio dal 1941, da Giovanni Scheiwiller. Il periodo direttamente precedente aveva visto l'artista coinvolto in numerose iniziative: dopo le sue collaborazioni a Il selvaggio di Mino Maccari, le partecipazioni alle Biennali, alle esposizioni del Novecento Italiano e alla I edizione del Premio Bergamo, la seconda metà degli anni Trenta si presenta come un periodo fecondo di opere e Rosai affronta l'esecuzione di grandi composizioni mettendo in campo un'ampia varietà di temi. Nascono i grandi "Paesaggi", gli interni con "Giocatori", la riproduzione dei dintorni fiorentini, caratterizzati da formati dilatati e maestose composizioni.
Con l'aprirsi degli anni Quaranta, al contrario, a una maggiore notorietà e tranquillità economica corrisponde un ripiegamento di ispirazione. Rosai rallenta l'attività artistica e abbandona le grandi dimensioni: si riaffacciano i temi trattati negli anni Venti, l'attenzione si concentra su un repertorio iconografico privo di intenti solenni e rivolto a un quotidiano malinconico. L'artista sembra pervaso da un bisogno di raccoglimento
e di evasione contemplativa con "un netto senso di incompatibilità verso il sistema figurativo degli anni precedenti" (Santini, 1960). Rosai si dedica alla realizzazione di piccoli quadri, descrive un'umanità dolente, in tormentata rassegnazione, focalizzando poche figure umane, sommariamente descritte, e inserendole in spazi non definiti, privi di connotazione ambientale, quasi astratti. Dalla dilatazione dei grandi quadri di paesaggio si passa alla massima concentrazione del piccolo formato e del sentimento raccolto. A queste scelte iconografiche e compositive corrisponde una tecnica non più costruttiva, solida ma a sua volta fragile e inconsistente, pur sempre minuziosamente calibrata.
E' una pittura intima, cui appartiene anche la Vecchina del 1941, dove delle grandi ambientazioni degli anni Trenta non rimane che la panca a sottolineare la profondità spaziale ed è cancellata qualsiasi altra connotazione ambientale, al fine di convogliare l'attenzione sulla sola figura umana. Il dipinto è stato esposto presso la Galleria Chiurazzi di Roma che, soprattutto negli anni Cinquanta, dedicò numerose personali e collettive ad artisti contemporanei, con una predilezione per l'arte figurativa.
A cura della Soprintendenza Speciale di Roma, Archeologia, Belle Arti e Paesaggio
Bibliografia
P.C. Santini, Rosai, Firenze 1960
P.C. Santini, a cura di, Ottone Rosai. Opere dal 1911 al 1957, catalogo della mostra (Roma Galleria Nazionale d'arte Moderna 20 luglio 1983 - 18 settembre 1983), Firenze 1983
M. Venturoli, Le opere d'arte contemporanea, in F. Borsi, G. Briganti, M. Venturoli, Il Palazzo di Montecitorio, Roma 1967-1985, p. 284 [pp. 265-295]
A. Trombadori, V. Rivosecchi, G. Selvaggi, Camera dei deputati. Catalogo delle opere d'arte. Pittura, scultura, arazzi, Milano 1993, n. 49, p. 35
C. Pirovano, a cura di, Camera dei deputati. Opere d'arte moderna e contemporanea. Pittura e scultura, Milano 2006, n. 44, pp. 52-53; p. 160