Legato dal 1948 alla Galleria del Naviglio di Milano di Carlo Cardazzo, che ne curerà le personali per molti anni promuovendone l'opera anche in ambito internazionale, Gentilini inizierà a esporre nella capitale francese presso la Galerie Rive Gauche a partire dal 1950. Sarà in una di queste occasioni che, nel 1953, incontrerà Jean Dubuffet verosimilmente ricevendo dal confronto con il maestro francese una conferma rispetto al percorso che aveva intrapreso da qualche anno e che lo stava conducendo verso quella svolta artistica che avrebbe caratterizzato la sua futura produzione. La profonda conoscenza delle caratteristiche dei vari materiali e della loro lavorazione, derivanti dall'apprendistato nelle fabbriche di maioliche di Faenza, gli sarà da guida nella sperimentazione di nuove tecniche esecutive: i suoi dipinti si caricheranno di un aspetto materico acquisendo una sensibilità "quasi" tattile, evocando inevitabilmente le opere di Dubuffet. Gentilini inizia a distendere in maniera uniforme sulla tela un impasto composto di sabbia di fiume e vernice genericamente scura, dotando il dipinto di un supporto con consistenza "fisica". Su questo strato corposo l'artista andrà a delineare i contorni della composizione usando il gesso bianco e colmando le forme così realizzate con i colori a olio. I dipinti assumono una tonalità opaca, scabra, quasi simile all'intonaco per la stesura ad affresco.
Al nuovo aspetto materico di queste opere, si accompagna una riflessione sulle forme e l'opportunità di un nuovo linguaggio iconografico. Già dal secondo dopoguerra l'artista andava meditando sulla necessità di mettere a punto un processo di "purificazione" del linguaggio creativo giungendo a una sintesi di suggestioni diverse. Le figure rappresentate tendono a semplificarsi, divenendo schematiche, sul modello dei manichini metafisici di Carrà e delle geometrie cubiste; le atmosfere si fanno sognanti, fiabesche, evocative del mondo fantasioso dell'infanzia, richiamando gli universi di Chagall e Klee; gli accostamenti sorprendenti e incongrui si mostrano nella loro derivazione surrealista.
Di questa sintesi di tecniche e di una nuova struttura compositiva e iconografica Figure sulla spiaggia, presentata alla Galleria del Naviglio nel 1965, rappresenta uno degli esemplari più esplicativi. I due manichini/automi, dai tratti arcaici ed essenziali e l'aria enigmatica e sospesa, si stagliano su una superficie geometricamente strutturata e dalla prospettiva appiattita. La composizione è tutta giocata sui contrasti tra la fisicità della materia con cui è costruito il dipinto e la bidimensionalità degli elementi figurativi distesi su di esso. Sul corposo fondo bianco dell'impasto sabbioso, in alto a destra, si delinea la firma dell'artista: a sottolineare il nuovo corso della sua pittura anche la posizione e i caratteri del nome sono cambiati. In armonia con il percorso creativo intrapreso la scrittura diventa più infantile, le lettere si ingrandiscono e la firma giganteggia sul dipinto, quasi come un nuovo doganiere Rousseau che "si riappropria di uno spazio estetico dove lo sbalordimento dell'autore rispetto al suo stesso mondo creativo possa essere agevolmente comunicato all'osservatore dell'opera, disposto a entrare senza mediazioni ulteriori nell'alveo di pensiero dell'artista e a sostare con lui su questo territorio sottile e affascinante. E' il territorio della favola, della filastrocca, della chiacchierata tra amici, del disvelamento dell'inconfessabile e dello scherzo contestuale su qualunque cosa possa imbarazzarci" (Strinati, in Benedetti, p. 13).
A cura della Soprintendenza Speciale di Roma, Archeologia, Belle Arti e Paesaggio
Bibliografia
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G. Appella, Gentilini. Catalogo generale dei dipinti. 1923-1981, Roma 2000, n. 1093
C. Pirovano, a cura di, Camera dei deputati. Opere d'arte moderna e contemporanea. Pittura e scultura, Milano 2006, n. 119, pp. 106-107; p. 165
M.T. Benedetti, Franco Gentilini nel centenario della nascita, catalogo della mostra (Milano, Museo della Permanente, 12 novembre 2009 - 10 gennaio 2010), Milano 2009