Il dipinto, che negli inventari ottocenteschi delle Gallerie fiorentine (inv. 1881, cat. 2ᵃ n. 240) era avvicinato alla scuola di Andrea del Sarto, è oggi riferibile, sia per lo stile che per la composizione, al pittore fiorentino Domenico Puligo. Questi si formò, a partire dal primo decennio del Cinquecento, nella bottega di Ridolfo del Ghirlandaio e fu dedito, in particolar modo, ad opere di destinazione domestica, come ritratti o immagini devozionali. Il Puligo faceva parte dell'allegra brigata della Compagnia del Paiuolo, insieme ad Andrea del Sarto, di cui, come racconta Vasari nella sua vita (1568), era collaboratore e "amicissimo", da poterne studiare disegni e lavori in corso d'opera. Evidente era l'ascendente del Sarto sul pittore, ma i modelli sarteschi venivano tradotti dal Puligo in termini personali, con una forte tendenza allo sfumato e agli aspetti intimistici della rappresentazione. Le figure del pittore si caratterizzano per un forte chiaroscuro e una "una certa nebbia", come scriveva ancora Vasari, una sorta di sfumato leonardesco in versione più manierista. Le sue composizioni seguivano schemi ben codificati, spesso ripresi proprio da Andrea del Sarto, che si ripetevano con alcune varianti. Questa produzione ebbe una larga diffusione, ma anche una disomogenea qualità. Infatti, per rispondere alle pressanti richieste del mercato, il pittore si affidava alla collaborazione di diversi allievi e collaboratori (come Antonio Solosmeo, Domenico Beceri ed il fratello di Andrea del Sarto, Francesco Lanfranchi detto lo Spillo).
Il dipinto, che è arrivato in deposito esterno alla Camera dei Deputati dalle Gallerie fiorentine con verbale del 18/03/1926, raffigura al centro la Madonna, vestita di rosso con manto verde e azzurro, mentre tiene in braccio il Bambino nudo. Alle sue spalle è rappresentato uno sfondo di solo paesaggio, con qualche spoglio albero in lontananza. La posa della Vergine e del Bambino richiama da vicino quella della Madonna col Bambino in un paesaggio con San Giovannino della Galleria Borghese (inv. 338), la quale si differenzia solo per l'aggiunta del San Giovannino e per il paesaggio sullo sfondo, dominato da un'alta rupe sulla sinistra in cui si vede una piccola figura su asino, forse San Giuseppe, e da casamenti sulla destra, nei quali si distingue una chiesa con campanile. Un'altra replica si trova al Musée Fabre di Montpellier (inv. 837.1.2), nella quale è raffigurato il San Giovanni Battista sulla destra. Ulteriori termini di confronto sono offerti da due dipinti conservati alla Galleria Palatina, che appaiono varianti di questo modello compositivo. Si tratta della Madonna con il Bambino e San Giovanni Battista (inv. Palatina, n. 145) e della Madonna col Bambino, San Giovannino e San Lorenzo (inv. Palatina, n. 146), connotati dalla medesima resa delle epidermidi vellutate e dalle ombreggiature che sottolineano gli ovali dei volti e le cavità rotonde degli occhi. Il primo ad avvicinare il modello della Galleria Borghese alla produzione del Puligo fu Roberto Longhi nel 1928, seguito dal Berenson (1936) e da Della Pergola (1959), che vi ravvisava un'interpretazione in chiave manieristica degli sfondi del Rosso Fiorentino. Questo gruppo di opere, per il loro forte sperimentalismo, può essere riconducibile alla fase giovanile del pittore, negli anni che vanno dal 1515 al 1517, sotto la decisiva influenza di Andrea del Sarto. Alla vasta produzione di Puligo in anni recenti è stata dedicata una mostra monografica ospitata nella Sala Bianca di Palazzo Pitti nella quale era affrontato l'importante tema dei modelli sarteschi e anche delle difficoltà attributive che il loro ripetuto uso presenta.