Non documentata con certezza nella raccolta Torlonia prima del 1817/21 (o in un inventario del 1829, quando compare come "Ovale rappresentante il Divin Pargoletto e la Madonna in atto di adorarlo, del Sassoferrato"), la tela venne poi inclusa da quella famiglia nel dono concordato con lo Stato. Essa è in deposito da quasi un secolo (1927) alla Camera dei Deputati, secondo una prassi diffusa, ma svolta in assenza di normativa specifica.
Lo schema segue una nota invenzione, che risale a Guido Reni, precisamente a una tela di analoghe dimensioni (cm 92,5x110,5) registrata dal 1646 nella Villa Aldobrandini a Magnanapoli, poi nel palazzo Pamphilj al Corso, dove è rimasta, venendo esposta nella Galleria Doria Pamphilj (FC 288). Quest'ultima fu apprezzata già da C.C. MALVASIA (Felsina Pittrice. Vite de pittori bolognesi, Bologna 1678, p. 64) e ha poi suscitato qualche dubbio sull'autografia (Kurz), unanimemente dissolto da una pulitura del 1960 (ENGGASS 1962; A.G.DE MARCHI, Collezione Doria Pamphilj. Catalogo Generale dei dipinti, Cinisello Balsamo, Milano, 2016). Quella raffinatissima creazione, svolta verso il 1625/27, univa a una struttura compositiva ben azzeccata, colori preziosi, con largo impiego di blu, coinvolti in una miscela composta di grazia e devozione. Tali ingredienti, perfettamente calibrati sulle richieste delle fasce più reazionarie della società romana, erano destinati a riscuotere un rapido e larghissimo successo, amplificato da traduzioni a stampa incise da A. Bloemaert e altri (G. De Rossi, J. Boulanger, C. Charpignon).
Se numerose sono state le derivazioni pittoriche nate entro la bottega reniana, la formula attecchì ancora meglio nell'officina del Sassoferrato, che ne fece un'icona controriformistica. Qui se ne osservano riprese autografe e realizzazioni di seguaci, nonché copie tarde e qualche disegno (Milano, Brera n°174; Holkham Hall; non convince la correlazione con quello apparso da Sotheby's, New York, 25/1/2006 n°66). Come in altri casi, il Sassoferrato reinterpretava quindi composizioni di altri, connotandole di caratteri lussuosamente devozionali e convenzionali, che sono la sua più spiccata caratteristica. Se spesso preferì sfruttare schemi "primitivistici" rinascimentali, come fece con Madonne di Duerer o del Perugino, nella fattispecie approfittò di un'idea di Reni, che tuttavia già in partenza era diretta verso simili risultati. Lo stato di conservazione è buono.
Bibliografia:
G.A. GUATTANI, Descrizione ragionata degli oggetti d'arte esistenti nel Palazzo di S. E. Don Giovanni Torlonia [1817-1821], in A. VENTURI, La Galleria Nazionale in Roma, in "Le Gallerie Nazionali Italiane", 2, 1896, pp. 75-16
R. ENGGASS, Variations on a theme by Guido Reni, in "The Art Quarterly", 25, 2, 1962, p. 114-116.
E. BACCHESCHI, L'opera completa io Guido Reni, Milano 1971, n°105a.
S.D. PEPPER, Guido Reni, Novara 1988, p. 257, n°115 Giovan Battista Salvi "Il Sassoferrato", catalogo della mostra (Sassoferrato 1990), a cura di F. MACÉ DE LÉPINAY, Milano 1990, pp. 84, 129.
R. VODRET, Dalle collezioni all'arredo. Opere dei musei negli uffici e nelle sedi di rappresentanza dello Stato: la ricostituzione delle collezioni, catalogo della mostra, Roma 1997, p. 70.
L. MOCHI ONORI, R. VODRET, a cura di, Galleria Nazionale d'Arte Antica. Palazzo Barberini. I dipinti. Catalogo sistematico, Roma 2008, p. 357.
Andrea G. De Marchi