olio su tela
83,5 x 71,5 cm
Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini
inv. 1054
Il dipinto è entrato a far parte del patrimonio dell'allora Galleria Nazionale nel 1892, insieme con il gruppo di opere che facevano parte della donazione Torlonia. Negli inventari ottocenteschi della collezione romana la tela è in effetti ripetutamente registrata e citata come "ritratto di senatore veneto", attribuito ad "Antonio Licinio detto il Pordenone". Il nome del presunto autore, tuttavia, è quello riportato dal Vasari nelle Vite, che ha contribuito a ingenerare, invero fino agli inizi del XX secolo, qualche confusione tra il Pordenone stesso, oggi più precisamente noto come Giovanni Antonio de' Sacchis (1483-1539), e i pittori di origine bergamasca Bernardino e Giulio Licinio.
In ogni caso, l'attribuzione all'artista friulano non pare sostenibile, anche per la mancanza di possibili riscontri con una produzione ritrattistica a lui effettivamente riferibile. Ignota resta pure l'identità del personaggio ritratto. A giudicare dall'abbigliamento, potrebbe trattarsi di un patrizio o un cittadino veneziano, la cui "divisa" ordinaria, ancora nel XVI secolo, era ispirata a un'istanza di pubblica sobrietà e uniformità. L'abito è infatti costituito da una semplice toga nera, anche se in questo caso foderata di pelliccia, cui si aggiunge una stola - o "becho", nel dialetto locale - dello stesso colore, portata di solito su una spalla, e infine il caratteristico copricapo: la berretta, o "bareta" dei veneziani. In mancanza di ulteriori elementi esterni, risulta di scarso aiuto, in ordine all'identificazione del soggetto, anche il particolare altrimenti interessante e comunque certamente "esibito" del doppio anello indossato sull'anulare della mano destra: dettaglio che, oltre a segnalare lo status sociale dell'effigiato, potrebbe forse anche alludere a una sua possibile condizione di vedovo.
Per il resto, il ritratto appare relativamente statico e poco articolato in termini spaziali e compositivi, nonostante il tentativo del pittore di conferire al volto una qualche mobile e più penetrante vivacità di sguardo e di caratterizzare le peculiarità individuali della fisionomia, misurandosi, si direbbe, con i raggiungimenti della ritrattistica veneta e veneziana tra la fine del XV e i primi decenni del XVI secolo, da Antonello da Messina a Bellini fino al giovane Tiziano. Per quanto semplificata e forse volutamente arcaizzante, la posa del personaggio è però, seppur minimamente, animata dal gesto della mano, che afferra la stola e a un tempo mette in mostra gli anelli. Si tratta di un gesto peraltro convenzionale e in qualche misura persino informalmente codificato, che infatti ricorre non di rado nella ritrattistica maschile rinascimentale, potendosi ravvisare in esempi assai diversi e distanti, come nella famosa tavola di Andrea del Castagno della National Gallery of Art di Washington; nel ritratto tizianesco di Giovanni Bellini conservato nello Statens Museum for Kunst di Copenhagen, datato intorno al 1512, o ancora nel ritratto di Ludovico Grazioli dipinto da Lorenzo Lotto poco oltre la metà del secolo, e oggi a Ferrara presso la fondazione Cavallini Sgarbi.
A cura di: Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini
Bibliografia
Galleria Nazionale: Palazzo Barberini. I dipinti. Catalogo sistematico, a c. di L. Mochi Onori e R. Vodret, Roma, 2008, p. 243