oggetto | decorazione pittorica |
soggetto/titolo | Fregio pittorico 1908-1912 |
autore/ambito | Giulio Aristide Sartorio |
datazione | 1908 - 1912 |
materia e tecnica | tempera cerosa |
misure | cm. 105x3,75 |
proprietà | Camera dei Deputati |
inventario | 14543 |
acquisizione | acquisto 1912 |
mostre | Mostra: Il Fregio di Giulio Aristide Sartorio, Roma, Palazzo di Montecitorio, dal 15/05/2007 al 21/07/2007 |
autore della fotografia | Marco Baldassari, 2011 |
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Scheda di approfondimento in: " Restauri" | |
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Da “Catalogo delle opere d’arte – pittura, scultura, arazzi”
Nato in una famiglia di scultori, compie studi artistici irregolari all’Istituto di Belle Arti di Roma. Esordisce nel 1883 all’Esposizione Internazionale di Belle Arti di Roma con il dipinto Malaria. Nel 1884 è a Parigi, e nello stesso periodo inizia a collaborare con “Cronaca Bizantina” e con artisti legati a D’Annunzio. Nel 1886 esegue quattro tavole per l’edizione illustrata dell’Isaotta Guttadauro di D’Annunzio. Nel 1890 il Conte Primoli gli commissiona il trittico Le Vergini Savie e Le vergini Folli. Contemporaneamente esegui i primi pastelli della campagna romana ed espone con il gruppo “In arte Libertas”, di cui diviene segretario. Negli anni Novanta compie numerosi viaggi in Francia, Inghilterra, Germania. Alla Biennale di Venezia del 1899 ha una sala personale dove espone la Diana di Efeso e La Gorgone e gli Eroi. Nel 1902 è insignito del titolo di Accademico di merito dell’Accademia di San Luca. Esegue vari fregi decorativi, tra i quali possiamo ricordare quello per la Biennale di Venezia del 1907. Nel 1908 gli viene affidato l’incarico per il fregio dell’Aula del Parlamento. Nel 1914 ha una sala personale alla Biennale di Venezia. Nel 1915 parte per la guerra; fatto prigioniero trascorre due anni a Mauthausen. Rientra in Italia nel 1917. Nel 1921 ha una personale alla Galleria Pesaro di Milano. Nel 1922 si reca in Egitto su invito di Re Fuad; in seguito compie altri viaggi in Medio Oriente, Giappone, America Latina. Oltre che alla pittura si dedica alla letteratura e al cinema. Il fregio per l’Aula di Montecitorio può annoverarsi tra le sue opere di maggior impegno, sia dal punto di vista tecnico che iconografico. Una descrizione notevole è quella da lui stesso fornita in un articolo per “La Tribuna” (Roma, 22 settembre 1913). “L’intera composizione del fregio, essendo concepita in rapporto alla forma architettonica, si divide in due parti distinte, una retta sul diametro e l’altra curva intorno alla parete dell’esedra. Sulla prima è rappresentata la visione epica della storia d’Italia, sulla seconda il contenuto lirico della sua civiltà secolare, e nel centro la Giovane Italia serena sulla quadriga trionfale, allo spettacolo denso della sua storia. La quadriga è retta dai Dioscuri, significazione del nord e del sud dell’Italia, e che, come i fratelli asvini, a vicenda si cedono l’immortalità consanguinea. A destra, a sinistra, il Rinascimento offre alla Giovane Italia le doti spirituali: l’Arte, l’Umanesimo, l’Idioma Unificato, le Scoperte, la Classicità, il Senso Cavalleresco. A destra l’Arte. Un giovinetto offre i fiori della primavera e l’artista, in una statuetta d’oro, l’immagine della bellezza, e l’Umanesimo, prossimo, innalza come espressione viva del ritorno alle realtà, i figli. Fra i vessilliferi un umanista offre il primo vocabolario, ed un artista porta fra l’idioma l’immagine scolpita. I vessilli sono della Sicilia, di Venezia, di Siena, di Firenze, perché colà apparvero le prime poesie, si perfezionò la lingua, divenne poesia sublime, e diplomazia squisita. Si rammenterà il dibattito fra gli Umanisti intorno al testo della lingua, come Pietro Bembo optasse per quello toscano, e come i vocabolari italiani apparissero in Italia per le opere iniziali di Lorenzo de’ Medici e di Leonardo da Vinci. Ho figurato l’artista che introduce nell’idioma la scultura, perché la plastica, per gli Italiani è una continuazione della parola, e la nostra lingua è eccezionalmente scultorea. Fra le braccia dello scultore ho poi messa l’Aurora di Michelangiolo, perché il Buonarroti diede alla Notte una significazione pessimista, la quale non conviene alla nostra storia contemporanea. A sinistra le Scoperte. Un giovinetto innalza il simbolo panteistico della terra feconda, uno studioso i manoscritti antichi esumati, ed un navigatore il globo terracqueo esplorato, completo. Prossima è la poesia latina, involta nella bandiera di Roma, ed in questo gruppo raffigurante la Classicità, una vestale, simbolo della famiglia, solleva il Palladio, un giovinetto autoctono la statuetta della Vittoria Tarantina. Nel gruppo della educazione cavalleresca i vessilli sono della casa di Montefeltro, della Lega Lombarda, della casa di Savoia e della casa d’Este di Ferrara. Un guerriero vicino alle bandiere della battaglia di Legnano e di casa Savoia innalza la vittoria di Brescia, e così, in questo gruppo appariscono simboli gloriosi, la vittoria antica difesa da Simmaco e quella esaltata da Giosuè Carducci. Al di là dei gruppi della Rinascenza ho rappresentato l’anello delle città italiche che, quali muse, si danno le mani e contengono le “Virtù Popolari”. Sono città adulte e città giovinette, quali poggiate sulla cresta montana, quali erette sulla riva dei mari e l’anello si apre nei raccordi angolari ove sono figurate le porte d’Italia. La catena comincia a sinistra e termina a destra, ove l’anello per breve tratto è interrotto dalle città velate, che invocano “la Fede”; la Virtù Popolare è effigiata sulla parte opposta laddove, secondo la leggenda italica riportata da Damascio e da Fozio, gli ultimi romani, benché morti, respinsero gli Unni dall’Urbe. Avverta l’osservatore che in tutta la rappresentazione che circonda l’ambiente del Parlamento italiano, di proposito ho evitato le evocazioni romane, perché la Storia d’Italia nasce dalla caduta dell’Impero Romano e ho messo la Classicità fra quelle doti spirituali, che il Rinascimento offre alla Giovane Italia. Per la stessa ragione, laddove ho rappresentato la leggenda degli ultimi romani morti che respingono gli Unni, ho simboleggiato le prime città, salvandone la psiche civile, figurata in una bellissima giovinetta nuda, perché, nonostante, noi Italiani siamo materiati di lingua romana. Le Virtù Popolari sono sei: la Giustizia, la Fortezza, la Costanza, L’Ardire, la Forma, la Fede. Nella Giustizia, considerando come la giustizia non sia l’equità, ho rappresentato il Diritto che si copre gli occhi per dividere i contendenti, mentre l’esecutore innalza due spade, per proteggere, per punire, ed un poeta difende un giovinetto. Infatti la nostra essenza nazionale fu sempre difesa, prima che dalle armi, dal valore della parola. Il giovinetto è per fattezze simile a quello romano sotto il cavallo unno, ed al giovane popolo italiano sollevato dal Piemonte. Nella Fortezza ho rappresentato un atleta che arresta l’energia bruta di un toro, mentre due popolani si stringono le mani in segno di unione, ed una possente cariatide consente lo sforzo dell’atleta offrendo un necessario punto d’appoggio. Nella Costanza è effigiata la vigilanza in armi sul nemico abbattuto, mentre due lavoratori rialzano l’edificio della civiltà, ricordando la miracolosa energia della razza, che si riaffermò, ad onta delle sventure, fino ad essere per sempre. A sinistra ho simulato due cariatidi, una muta e l’altra bendata, facendo seguito al sentimento espresso nella precedente immagine. Nell’Ardire ho figurato l’ignoto, ammantato di nero, che sospinge l’ardimentoso sulla prora di una nave. Un marinaio rappresenta l’elemento consenziente di una impresa nuova, ed una vittoria ultima, adolescente, nell’atto di svincolarsi, l’elemento morale. Segue le virtù della Forma, il genio della nostra stirpe che ha la facoltà di esprimere il disegno delle cose e delle anime. Il genio è rappresentato vicino alle cariatidi vive e fittizie, in atto di plasmare i caratteri delle figure, e guarda verso il gruppo del Rinascimento, ove la scultura porta nell’idioma l’immaginazione scolpita. Ultima viene la virtù grande del popolo italiano, la Fede. Ho rappresentato il destino che sostiene la sfera della vita; dove arde inestinguibile la fiamma dell’esistenza, e vicino l’anima popolare, che offre se stessa ed i figli in olocausto. Tutto questo riassunto lirico, decorando l’emiciclo, è esposto davanti al banco dove siederanno il Re e i Ministri d’Italia. Sulla parete di diametro, davanti alla cavea degli stalli, sono effigiate le vicende epiche della nostra storia, che ricorderanno ai rappresentanti elettivi della nazione come abbiamo strappato ai nemici, lembo a lembo, il suolo della patria. A sinistra è l’episodio degli Unni respinti dai romani morti. L’invasione degli Unni spinse contro i confini dell’impero i Goti, i Visigoti, i Vandali ed allora che i soldati erano Germani e Barbari l’impero si sfasciò e la furia spinse gli invasori nel cuore d’Italia, che rappresentava nel mondo l’arca del potere e dell’autorità. L’eroismo comunale respinse costantemente gli invasori e le loro pretese imperiali. Ho rappresentato le Furie che aizzano i Barbari e gli Italiani che col petto, le braccia, le mani, i sassi ne arrestano i cavalli. Nel centro della parete ho figurato l’ara italica, che si apre e, come le strofe dell’inno di Garibaldi, “si levano i morti” per unirsi ai combattenti medievali e respingere i conquistatori succeduti agli invasori. Dall’ara scoperchiata si alza il sole della libertà che, di fronte, conterrà nell’alone della luce la Giovane Italia trionfante. Le strofe fatidiche delle canzoni animano i combattenti, ed invasori e conquistatori cedono. Sopravvengono i cavalli dei liberatori, calpestano la Discordia dal capo avvolto da tre serpenti come corone ed appare il vessillo nazionale. Tre cavalieri agitano i colori dell’Italia, ed il nobile Piemonte, solleva il giovane popolo italiano che gitta sulla sua bandiera le rame d’alloro. A destra e a sinistra della parte di diametro i raccordi angolari la collegano alla periferia dell’emiciclo e figurano le porte d’Italia. Davanti ad una di esse alcune città salvano la psiche della nostra vita civile, davanti all’altra, il Piemonte solleva il giovane popolo italiano. Sono gli elementi vitali della nostra resurrezione nazionale, che è perciò il fulcro della civiltà universale”. Bibliografia essenziale
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